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Questo articolo è stato scritto da:

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Avv. Stefania Sbressa Agneni

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Autrice per Giuffrè Editore

Scrive per la rivista di Vercelli La Grinta

Autrice per diversi blog giuridici

Iscritta all'Albo degli Avvocati di Verbania

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Il diritto di visita del coniuge non affidatario espletato soltanto nel luogo di residenza della minore e in presenza dei famigliari della madre non viene meno nel caso in cui lo stesso abbia offeso la madre mediante ingiurie a causa di un fatto ingiusto in quanto scatta la causa di giustificazione della provocazione.

La Corte di Cassazione, sezione quinta penale, con la pronuncia n° 39411 del 21.10.2008, è intervenuta in materia di diritto di visita del coniuge non affidatario del minore sentenziando su un caso di sicuro interesse non solo per i famigliaristi. In particolare, la fattispecie riguarda un padre che per espletare il proprio diritto di visita alla minore in qualità di genitore non affidatario doveva ottemperare ad un provvedimento del Tribunale dei minori che prescriveva che lo stesso potesse vedere la figlia di pochi anni soltanto nel luogo di residenza della minore e della di lei madre al fine di non allontanarla dal contesto di vita a cui la stessa era abituata, tenuto conto della sua tenera età. Il motivo principale delle continue ed esasperate discussioni tra i genitori riguardava l'interpretazione del luogo di residenza indicato dal Tribunale e soprattutto l'irremovibile volontà della madre e dei suoi familiari di pretendere categoricamente che le visite si svolgessero solo all'interno dell'abitazione della bambina e solo in presenza costante della madre o di altro familiare con lei coabitante. Proprio durante uno di questi incontri sorvegliati e restrittivi il padre proferiva ingiurie alla madre della bambina, la quale prontamente provvedeva a denunciarlo mediante querela. Il Tribunale, in riforma della sentenza appellata dall'imputato dichiarava la non punibilità dello stesso ai sensi dell'art. 599, comma secondo, c.p., ritenendo, quindi, esistenti gli estremi della provocazione in ordine al reato di ingiuria commesso in danno di costituitasi parte civile. Occorre sottolineare che la provocazione che di per sé costituisce una circostanza attenuante con efficacia scriminante viene qualificata dalla dottrina una vera e propria causa di giustificazione, una causa speciale di non colpevolezza fondata sullo stato d'ira ed anche una causa speciale di esclusione della capacità a delinquere. Contro questa sentenza la madre della minore proponeva ricorso per Cassazione denunciando vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della provocazione e quindi l'erronea applicazione dell'art.599 comma 2 del Codice Penale. I Supremi ermellini non accoglievano il ricorso e confermavano la decisione del Tribunale di ritenere la sussistenza dell'esimente della provocazione dovuta allo stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui ovvero dall'atteggiamento ostile e pressante dei familiari della bambina. Nella motivazione della sentenza della Corte veniva precisato che “condizioni così limitative ed umilianti imposte al padre per assolvere il suo dovere paterno certamente erano sofferte e vissute in modo tale da ingenerare nel medesimo uno stato d'ira che di volta in volta si rinnovava al rinnovarsi delle visite e delle imposizioni descritte. Pertanto, a ragione e più che ragionevolmente, il Tribunale ha ritenuto di concludere che le ingiurie proferite dall'imputato fossero frutto di uno stato d'animo e soprattutto una reazione alla situazione ingiusta ed umiliante nella quale egli veniva a trovarsi sempre e costantemente durante le visite alla propria figlia. Tale situazione, specifica la Corte, non poteva che impedire la costruzione di un rapporto padre figlia fondato sulla genuinità e conoscenza reciproca. I Supremi Giudici sottolineano altresì che il c.d. “diritto di visita” del genitore non affidatario debba fare conto del profilo per cui un tale diritto si configuri esso stesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l'esercizio del fondamentale “diritto - dovere” di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova riconoscimento costituzionale nell'art. 30, comma primo della Costituzione. In conclusione, per la Corte di Cassazione, nel caso specifico, sussiste la circostanza attenuante comune della provocazione anche quando la reazione iraconda non segua immediatamente il fatto ingiusto, ma comporti un accumulo di rancore, per effetto di comportamenti ingiusti che in occasione di un episodio scatenante esplode anche a distanza di tempo in uno stato d'ira che si concretizza nel proferire parole ingiuriose.

 

 

 

Articolo dello Studio Legale Sbressa Agneni

Articolo pubblicato nella sezione " Persona e Danno "

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Famiglia e persone

"Famiglia e Persone" UTET Giuridica

Scritto da AVV. SBRESSA AGNENI

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