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Questo articolo è stato scritto da:

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Avv. Stefania Sbressa Agneni

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Autrice per Giuffrè Editore

Scrive per la rivista di Vercelli La Grinta

Autrice per diversi blog giuridici

Iscritta all'Albo degli Avvocati di Verbania

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Con la recentissima sentenza n° 28738 del 10 luglio 2008, gli ermellini hanno deciso il caso di un coniuge che, per aver chiamato insistentemente i Carabinieri per i continui conflitti familiari, effettuando numerosissime telefonate ed accessi pari a 104 richieste di intervento nell'arco di 112 giorni, si è trovata lei stessa in un mare di guai, imputata per aver turbato il regolare funzionamento della stazione dei Carabinieri, condannata dai giudici di primo grado del Tribunale di Terni ed anche dalla Corte d' Appello di Perugia.
Quest'ultima condannava la ricorrente all'esito del giudizio abbreviato, con le attenuanti generiche e riconosciuto il vizio parziale di mente alla pena di mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 81 e 340 del codice penale.

In particolare, oltre al turbamento per futili motivi e non pertinenti all'attività istituzionale dei Carabinieri, il capo di imputazione riguardava anche l'aver a più riprese minacciato l'intera stazione, affermando che l'avrebbe denunciata per omissione di atti d'ufficio, se non avesse immediatamente provveduto a fermare l'ex marito e ad inviare subito un telegramma alla procura della Repubblica, per segnalare che stava per essere pignorata la macchina del figlio.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, l'imputata ricorreva in Cassazione, denunciando l'erronea applicazione degli artt. 340 e 336 c.p., poiché le richieste d'intervento erano assolutamente legittime a causa dei comprovati e numerosi dissidi e litigi familiari; inoltre la ricorrente non doveva ritenersi penalmente responsabile per incapacità parziale d'intendere e di volere, e il comportamento tenuto dalla stessa non costituiva minaccia, in quanto i Carabinieri conoscevano bene il suo stato confusionale e di agitazione.

Per la Suprema Corte il ricorso è fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio per mancanza dell'elemento soggettivo dei reati.
Non sussiste, infatti, il dolo del reato di interruzione o turbamento di un ufficio pubblico poiché la ricorrente non aveva la volontà di intralciare il regolare funzionamento della stazione dei Carabinieri, intendendo solamente prospettare, considerate anche le sue agitate e confusionali condizioni fisiche e psichiche, una necessità di un loro intervento rientrante astrattamente nei fini istituzionali delle forze di polizia, nei confronti dei suoi familiari, che per la stessa avevano una condotta temibile e censurabile.
Non vi è dolo neppure nel reato di minaccia ai pubblici ufficiali di cui all'art.336 c.p., visto che la minaccia della denuncia per omissione di atti d'ufficio era collegata, nella volontà, dell'imputata, al mancato espletamento dei compiti istituzionali.
Per la Corte, quindi, i fatti oggetto delle imputazioni non costituiscono reato.

 

 

 

Articolo dello Studio Legale Sbressa Agneni

Articolo pubblicato nella sezione " Persona e Danno "

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Scritto da AVV. SBRESSA AGNENI

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