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Questo articolo è stato scritto:

Avv. Alessandra Sbressa Agneni

Autrice per Giuffrè Editore

Autrice di opere per UTET Editore

Autrice di opere per CEDAM Editore

Iscritta all'Albo degli Avvocati di Verbania

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Risale a qualche mese fa questa recente pronuncia della Cassazione (n. 23885/08) in materia di assegno di mantenimento che, confermando una sentenza della Corte d'Appello di Torino, ha revocato l'assegno mensile che l'ex marito versava all'ex moglie in ragione del fatto che quest'ultima negli ultimi anni di matrimonio avesse abbandonato il talamo coniugale per andare a dormire nella stanza del figlio.

Nel primo grado del giudizio, il Tribunale di Ivrea dichiarava la separazione personale tra i coniugi respingendo le rispettive domande di addebito e poneva a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile di mantenimento pari a € 3.000,00, rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat, tenendo conto del fatto che egli manteneva direttamente il figlio, oramai divenuto maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente e non più convivente con la madre.

La Corte d'Appello di Torino, riformando parzialmente la sentenza di primo grado impugnata dal marito ed in via incidentale dalla moglie, addebitava la separazione a quest'ultima e dichiarava che il marito non dovesse dare nulla per il mantenimento della moglie, confermava per il resto la sentenza di primo grado e compensava le spese processuali.

La Signora, dunque, proponeva ricorso in Cassazione contestando l'addebito della separazione e chiedendo che venisse stabilito nuovamente a suo favore l'assegno di mantenimento.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso, respingeva il ricorso presentato, confermando l'addebito alla Signora e, ritenendo che la condotta della donna fosse contraria ai doveri nascenti dal matrimonio, revocava il diritto all'assegno di mantenimento a suo favore così come deciso in precedenza dalla Corte d'Appello di Torino.

Nel corso del giudizio infatti era emerso, anche tramite l'escussione dei testi citati, il continuo rifiuto della moglie di trasferirsi con il figlio per seguire il marito in ragione dell'attività lavorativa dallo stesso svolta; i lunghi soggiorni della Signora presso la sua casa al mare, lasciando il figlio alle cure dei parenti ed infine, ma elemento estremamente importante secondo la Suprema Corte, l'iniziativa presa dalla moglie, due anni prima dell'introduzione del giudizio di separazione, di dormire nella stanza con il proprio figlio e non più con il marito.

A parere della Corte, dunque, il rifiuto della moglie durante gli ultimi anni di matrimonio di dormire con il proprio marito, anche se per andare a dormire nella stanza del figlio, oltre al costante rifiuto di seguire il marito nei suoi continui spostamenti lavorativi, costituiscono una colpa che giustifica la pronuncia di addebito della separazione. Sussiste dunque un nesso causale tra la condotta assunta dalla Signora nel corso del matrimonio che ha determinato a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale causando la disgregazione e la fine del matrimonio.

Nella sentenza si legge infatti che “una volta iniziato il giudizio di separazione e cessata di fatto la convivenza, non possono logicamente più assumere autonomo rilievo i comportamenti successivi del coniuge separato, anche se, in ipotesi, idonei a giustificare una dichiarazione di addebitabilità, posto che l'addebito trova la sua collocazione esclusivamente nel quadro della separazione, come responsabilità causativa dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e non ha quindi ragion d'essere allorché la convivenza è cessata”.

La Suprema Corte ha, dunque, rigettato nel caso di specie il ricorso presentato dalla Signora e compensato le spese del giudizio.

 

 

 

Articolo dello Studio Legale Sbressa Agneni

Articolo pubblicato nella sezione " Persona e Danno "

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"Famiglia e Persone" UTET Giuridica

Scritto da AVV. SBRESSA AGNENI

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