Il tema oggetto di questa recentissima sentenza ci capita spesso nella prassi ovvero quando affrontiamo casi di separazioni giudiziali aventi ad oggetto l'assegno di mantenimento e questioni economiche di una certa entità.
Ebbene, la moglie che ha la capacità lavorativa o meglio che può lavorare, non può chiedere il mantenimento al marito.
L'attitudine al lavoro non può essere valutata in astratto, bensì in termini di effettiva possibilità di svolgere un'attività retribuita.
Questo ha evidenziato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 789/2017, precisando che occorre valutare se le possibilità di svolgere un'attività lavorativa siano concrete.
Il caso oggetto di questa pronuncia riguarda una moglie, casalinga, quarantenne e senza competenze professionali specifiche e sul fatto che la stessa continuasse a percepire l'assegno di mantenimento da parte del marito.
In particolare, gli Ermellini hanno ribadito il principio in base al quale “ in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice che deve al riguardo non solo tener conto dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica”.
Con l'avvertenza però che “l'attitudine del coniuge al lavoro assume in tale caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche”.
Articolo dello Studio Legale Sbressa Agneni
Articolo pubblicato nella sezione " News dalla Corte "
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